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Pubblicato il 9° Rapporto CRC

Consulta il 9° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2015-2016




Ascoltare: un passo oltre il conflitto

Sono molteplici gli spunti di riflessione emersi nel corso dell’incontro – dibattito tenutosi ad Amalfi lo scorso 2 aprile, organizzato dall’Azione Cattolica parrocchiale in collaborazione con la Camera per i Minori di Salerno Anna Amendola, con a tema la crisi delle relazioni familiari.
La dottoressa Laura Spagnolo psicologa e psicoterapeuta con una trentennale esperienza di perito del Tribunale dei Minori di Salerno ha articolato il suo intervento sulla prevenzione, gestione e cura del conflitto familiare.
Il conflitto non è violenza, ma la contrapposizione che può portare ad un incontro nella conflittualità, un’opportunità di discussione anche accesa per rinsaldare un’amicizia, un rapporto.
Insomma il conflitto non solo pericolo, come espresso dall’Avv. Maria Pia Perisano, counsellor e mediatore sistemico relazionale, ma opportunità per dialogare, aiutati a trovare un punto d’incontro alla difficoltà che la famiglia può vivere in certe fasi della stessa.

Su tutto è aleggiato l’imperativo “dell’ascolto“.
Ascoltare l’altro, il minore d’età rappresenta la miglior maniera per far sentire importante l’interlocutore, per comprendere cosa abbia da dire ed evitargli di essere parte di una ritualità rispetto alla quale non gli sia data possibilità di comunicare emozioni e stati d’animo.
Oggigiorno si parla tanto ma si comunica meno, ascoltare l’altro, avere in sé la dimensione dell’altro è certamente il primo passo per superare la crisi sempre più presente nelle relazioni familiare e nei rapporti sociali.
Se quindi l’ascolto, può essere prevenzione e gestione del rapporto, la cura è certamente di non lasciare sola la famiglia, di prendersi cura della stessa, proprio come il Santo Padre Francesco ha posto nelle intenzioni di preghiera per il mese di marzo, riassunte in un video in cui esorta ad aiutare la famiglia perché anche e soprattutto i bambini vivano e crescano in un ambiente sano e sereno.

 




I “verbi” del giudice nell’affidamento condiviso

155 c.c. Provvedimenti riguardo ai figli

– Pronuncia la separazione personale dei coniugi.
– Adotta i provvedimenti relativi alla prole.
– Valuta prioritariamente che i figli restino affidati ad entrambi i genitori
– Stabilisce a chi sono affidati
– Determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore.
– Fissa misura e modo di contribuzione al mantenimento, alla cura, all’istruzione, all’educazione
– Decide in caso di disaccordo dei genitori
– Può stabilire l’esercizio delle potestà separate limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione
– Può stabilire la corresponsione di un assegno periodico (per la realizzazione del principio della proporzionalità) considerando:
 Le attuali esigenze del figlio
 Il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di famiglia
 I tempi di permanenza presso ciascun genitore Le risorse economiche di entrambi i genitori 
La valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore
– Può disporre l’accertamento della polizia giudiziaria (ove le informazioni non risultino sufficientemente documentate) su redditi e beni oggetti di contestazione anche se intestati a soggetti diversi.

155 bis c.c. Affidamento ad un solo genitore

– Può disporre l’affidamento esclusivo
– Può considerare (al fine dei provvedimenti da adottare) il comportamento del genitore in caso di domanda di affidamento esclusivo manifestamente infondata

155 c.c. quater Assegnazione della casa familiare…

– Assegna la casa familiare

155 c.c. quinques Disposizioni in favore dei figli maggiorenni

– Può disporre il pagamento di un assegno periodico in favore dei figli maggiorenni

155 sexies c.c. Poteri del giudice ed ascolto del minore

– Può assumere – ad istanza di parte o d’ufficio – mezzi di prova
– Dispone l’audizione del minore
– Può rinviare l’adozione dei provvedimenti per consentire la mediazione con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale del minore

709 ter cpc

– Può modificare i provvedimenti in vigore
– Può ammonire il genitore inadempiente
– Può disporre il risarcimento dei danni nei confronti del minore, nei confronti dell’altro genitore
– Può condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione pecuniaria.




Assegno di mantenimento: “Non versarlo è reato”

È reato non versare l’assegno di mantenimento a favore dei figli minori (Corte di Cassazione Penale sez.VI 2/2/2010 n. 4395)
Pubblicato in diritto famiglia il 04/03/2010
E’ obbligatorio versare l’assegno di mantenimento a favore dei figli minori anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro e con l’intervento degli altri parenti.
Cass. pen. n. 4395/2010 non ha esitato a ribadire la responsabilità e l’obbligo di versare la quota di mantenimento a favore dei figli minori anzi hanno puntualizzato che in essa “debbono ritenersi compresi non più solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione)”.

Pertanto , anche se il genitore affidatario provvede al mantenimento con ausilio d pecuniario dei familiari, non esime l’ex dal versare quanto stabilito con sentenza , pena violazione “art. 570 secondo comma n. 2 cp, in danno dei figli minori”.

L’obbligazione di mantenimento nei confronti dei figli, in particolare, trova già radici nell’ordinamento nazionale: l’art. 30 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce, infatti, che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. E’ un obbligo che sorge direttamente ed in istantanea dal rapporto di filiazione e gravante non solo sui genitori nel caso di figli nati nell’ambito del matrimonio, ma, allo stesso modo, nel caso di riconoscimento del figlio naturale.

La norma costituzionale in materia di mantenimento è ribadita dall’art. 147 del Codice Civile il quale esplicitamente prevede che “il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”, precisando, nel successivo articolo, che i coniugi devono adempiere l’obbligo in parola contribuendo in proporzione alle rispettive sostanze e capacità di lavoro professionale e casalingo.

Questo l’obbligo di mantenimento della prole non ha un carattere prettamente patrimoniale, esso è scevro sia dalla sussistenza della potestà genitoriale, sia dalla convivenza dei genitori con i figli. Nell’ambito della fondamentale disciplina costituzionale e codicistica si è inserita la giurisprudenza della Corte di Cassazione tracciare empiricamente le linee guida da adottare caso per caso mirate alla tutela dei figli, aggiornando la normativa all’evoluzione dei tempi e dei contesti sociali.

Corbi Mariagabriella

Dottoressa in Scienze dell’educazione

Consulente dell’educazione familiare

Mediatrice Familiare

 

Corte di Cassazione Penale sez.VI 2/2/2010 n. 4395

LA SEZIONE VI

Svolgimento del processo

Con sentenza resa dalla Corte di Appello di Roma il 17 aprile 2007, veniva ribadita la penale responsabilità di R. R. per il delitto di cui all’art. 570 secondo comma n. 2 cp, in danno dei figli minori F. e M. C. e confermato anche il trattamento sanzionatorio.

Ricorre il difensore nell’interesse dell’imputato e deduce – con il primo motivo – nullità della decisione per omessa notifica dell’avviso di comparizione in udienza successivo ad un suo legittimo impedimento; nel merito, si duole della illogicità e contraddittorietà della pronuncia, che non avrebbe tenuto conto delle emergenze dibattimentali e cioè che la madre svolgeva attività lavorativa regolare, così come il terzo figlio, maggiorenne, sicché il nucleo familiare non versava affatto in stato di indigenza; viceversa l’obbligato non aveva affatto la capacità economica, come risultava dalla documentazione fiscale in atti. Inoltre, la Corte non avrebbe motivato sulla istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e sul diniego delle generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato, giacché risulta che l’avviso di fissazione della udienza per il 17 aprile 2007, destinata alla trattazione dell’appello a seguito del rinvio della udienza in precedenza fissata, è stato regolarmente notificato a mano del R.. Costui, peraltro, non ha, come invece avrebbe dovuto, indicato gli eventuali specifici vizi della notifica, limitandosi ad una denuncia di mancato compimento dell’atto secondo il dettato normativo, che per la sua evidente genericità non soddisfa affatto il requisito previsto all’art. 581 lett. c 9 cpp in tema di impugnazione.

Parimenti manifestamente infondati sono i due successivi motivi di doglianza, che in quanto concernenti il difetto motivazionale della sentenza in relazione alla configurabilità del delitto contestatogli, possono essere esaminati congiuntamente.

Vale rammentare che ai fini della configurabilità del delitto cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio minore ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro e con l’intervento d’altri congiunti, atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo. (Sez. 6, Sentenza n. 38125 del 24/09/2008).

Ancora è principio pacifico che nella nozione penalistica di “mezzi di sussistenza” di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen. – diversa dalla più ampia nozione civilistica di “mantenimento” – debbono ritenersi compresi non più solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione).

Infine, incombe all’interessato l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, lo stato di impossibilità economica dell’obbligato (Sez. 6, Sentenza n. 2736 del 13/11/2008 Ud. (dep. 21/01/2009).

In relazione ai parametri normativi sopra enunciati, la pronuncia impugnata ha correttamente individuato la sussistenza degli elementi che rendevano penalmente rilevante la non contestata inadempienza del R. all’obbligo di provvedere alle esigenze di vita dei minori. La Corte, con motivazione esaustiva e coerente alle acquisizioni dibattimentali, ha infatti affermato che costui non versava in primo luogo in condizione di indigenza economica, risultando ex actis che era titolare di uno studio commerciale, formato anche da uno staff di cinque dipendenti; che fosse irrilevante che la donna svolgesse attività economica retribuita, stante la pochezza e la saltuarietà dei suoi guadagni di domestica; che l’inadempimento riguardava i due minori, privati del tutto dei mezzi di sostentamento e che non avesse alcuna incidenza esimente il fatto che i due figli maggiorenni lavorassero ed aiutassero la madre.

A fronte di tale iter motivazionale, diffuso e logico, il R. oppone una rivisitazione delle circostanze di fatto per ricostruire la vicenda in termini opposti a sé confacenti; il ricorrente impinge in un’evidente inammissibilità, non essendo consentito innanzi al giudice di legittimità ridiscutere le emergenze di fatto e propugnare diverse letture delle stesse, se non in presenza di quei vizi motivazionali sanzionati dall’art. 606 lett. e del cpp.

Detti vizi debbono tuttavia emergere “ictu oculi” dallo stesso testo della sentenza impugnata; una siffatta condizione per come sopra messo in evidenza, non ricorre nel caso in esame, avendo la Corte offerto una plausibile spiegazione delle azioni e dei comportamenti dell’imputato, che regge al vaglio critico.

Parimenti inammissibile è la censura con cui il R. si duole per la mancata rinnovazione della istruttoria dibattimentale.

L’“error in procedendo” rilevante ex art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., è configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa.

La valutazione in ordine alla decisività della prova, è rimessa al potere di merito del giudice, che deve esplicitare le ragioni (valide dal profilo logico e fattuale) che rendono legittimo il diniego.

Nella fattispecie in esame, con adeguata e valida motivazione, il giudice distrettuale ha escluso che la prova richiesta sulla attività lavorativa della moglie del ricorrente, fosse assolutamente indispensabile ai fini della decisione, richiamando, appunto, i principi in tema di inadeguatezza del contributo da costei offerto tramite il suo lavoro al mantenimento dei minori. Questo iter giustificativo della decisione soddisfa l’onere motivazionale e resta sottratto al controllo di legittimità.

Non è infine configurabile l’asserito vizio di motivazione per il diniego delle generiche e la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, poiché la Corte ha enunciato, in concreto, quali ragioni escludessero la fruibilità degli invocati benefici, rifacendosi sia alla protrazione della condotta omissiva del R. sia al reiterato precedente godimento della sospensione, che ne impediva ex legge una nuova applicazione.

Il ragionamento esposto non incorre nei segnalati vizi argomentativi e rispetta le regole tecniche dell’argomentare giuridico, con un esame completo di tutti gli elementi processualmente disponibili, i quali risultano correttamente interpretati con risposte esaustive alle deduzioni della parte.

Consegue, dunque, alla palese infondatezza dei motivi la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

In conseguenza della affermata inammissibilità, il Romei è da condannare al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende, somma determinata equitativamente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille a favore della Cassa delle Ammende.




Il reato di stalking rafforza la tutela delle vittime

Il reato di Stalking: delitto contro la libertà morale disciplinato dall’art. 612 bis del codice penale

Siamo di fronte ad una conquista di civiltà per le vittime di atti persecutori e molestie? D&D del 24/09/2009 Capicotto Barbara

1- La legge 23 aprile 2009, n. 38 e l’art 612 bis c.p. “ atti persecutori”

Lo “stalking” è entrato a far parte del nostro ordinamento con il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in Legge 23 aprile 2009, n. 38), che ha introdotto all’art. 612 bis c.p. il reato di “atti persecutori”, espressione con cui si è tradotto il termine di origine anglosassone “to stalk” (letteralmente “fare la posta”), con il quale si vuol far riferimento alle condotte persecutorie e di interferenza nella vita privata di una persona.

Il reato rubricato “atti persecutori” è stato inserito nel capo III del titolo XII, parte II del codice penale, nella sezione relativa ai delitti contro la libertà morale, ed è caratterizzato da una condotta tipica costituita dalla reiterazione di minacce o di molestie posta in essere dal c.d. “stalker”. Perché sussista il reato i comportamenti di minacce e di molestie devono determinare nella persona offesa un “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine, oppure costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita.

Di recente il tema relativo allo “stalking” è stato oggetto di un Convegno intitolato “PARI OPPORTUNITÀ – EVOLUZIONE STORICO NORMATIVA E LEGISLAZIONE VIGENTE” svoltosi il 17 Giugno 2009, presso la Sala Concerti del Palazzo Comunale di Catanzaro, in cui la sottoscritta si è soffermata sulla nuova normativa e sugli strumenti per garantire una reale tutela dei diritti e della libertà morale di coloro che subiscono molestie e violenze sul lavoro, nonché sull’orientamento giurisprudenziale, in materia di sicurezza con riferimento al reato di Stalking e alle condotte di mobbing nei luoghi di lavoro.

Il legislatore ha inteso disciplinare con la fattispecie tipizzata la libertà morale, intesa come facoltà del soggetto di autodeterminarsi. Infatti, tra i vari effetti che la condotta persecutoria può causare nella vittima, vi è “l’alterazione delle proprie abitudini di vita”, intesa come una particolare ipotesi di violenza privata.

Con la normativa in parola il legislatore vuole altresì tutelare l’ulteriore bene giuridico dell’incolumità individuale, quantomeno allorquando le minacce o le molestie provochino il “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, che, se inteso quale patologia medicalmente accertabile, comporta la lesione del bene salute che per di più ha una sua rilevanza anche in sede civile.

2- Il reato di “ stalking”

La disciplina è piuttosto articolata, si può individuare una prima fase cautelativa, precedente alla denuncia – querela, nella quale la vittima dello “stalking” può rivolgersi all’Autorità di Pubblica Sicurezza chiedendo di ammonire il proprio “stalker” con un provvedimento definito di ammonimento. La pena prevista è la reclusione da sei mesi a quattro anni. Sono previsti aumenti di pena se il fatto è commesso dall’ex partner o nei confronti di soggetti particolarmente vulnerabili (disabili o donne in stato di gravidanza).

Il delitto è normalmente punibile a querela della persona offesa, ma sono previsti alcuni casi in cui si può già procedere d’ufficio. Come detto, per rafforzare la tutela delle vittime che spesso per timore non denunciano i gravi fatti subiti, il testo legislativo prevede anche l’introduzione di strumenti cautelari finalizzati a interrompere tali condotte già prima dell’accertamento giudiziale della responsabilità penale, riconoscendo la possibilità che la vittima, prima dell’inizio del procedimento penale, possa richiedere al questore di ammonire l’autore della condotta. La norma prevede altresì un ampliamento della durata degli ordini di protezione previsti dal codice civile, con i quali il giudice può ordinare al coniuge o al convivente che con la sua condotta abbia causato grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro partner, di cessare la condotta stessa, di allontanarsi dalla casa familiare e di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati. Importante è segnalare che viene istituito un numero verde presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministero delle Pari Opportunità, attivo 24 ore su 24, che fornirà un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica e le indicazioni sui centri anti violenza destinati a prestare accoglienza alle vittime che devono sapere di avere un’assistenza protratta nel tempo e per tutta la durata del procedimento giudiziario avviato.

3- Primi risvolti applicativi della L 38/2009 e azioni volte alla punibilità dello “stalker”

Dalle prime esperienze portate davanti ai Tribunali e alle Autorità competenti è emerso che molte sono state le denunce presentate sia all’Autorità di Pubblica Sicurezza che in sede giudiziaria: nei mesi di maggio e giugno 2009 (appena è entrata in vigore la legge 38/2009) sono state rilevate 150 denunce, presentate soprattutto nel centro nord, la maggior parte dei procedimenti avviati si è conclusa con l’emissione dei provvedimenti di ammonimento e di molte sentenze di condanna alla reclusione.

Un primo bilancio porta a ritenere che sia di preminente importanza individuare quali possono essere le condotte qualificabili come “stalking”, così da consentire alle vittime di capire di essere tali e di “riconoscere” nel loro persecutore (ovvero chi assume l’atteggiamento di colui che mette in atto molestie assillanti e che per questo viene definito “stalker” ) il soggetto perseguibile ex art. 612 bis c.p.

Particolare rilievo al fine di favorire e promuovere la perseguibilità del reato di “stalking” riveste l’atteggiamento da assumere nei confronti di colui che subisce lo “stalking” il quale deve essere aiutato ad acquisire la consapevolezza del proprio stato di soggezione e della punibilità dello “stalker.” A tal fine è opportuno avviare campagne informative volte a far conoscere la nuova normativa introdotta con la Legge 23 aprile 2009 n. 38, così da consentire alle vittime di condotte persecutorie e “stalking” la reale possibilità di difendersi. È importante che le persone che subiscono vessazioni morali e fisiche siano in condizioni di denunciare e di poter contare su una tutela reale ed effettiva; che sappiano di non essere sole e di poter contare sull’assistenza di centri di accoglienza anti violenza nonché sul supporto morale ed economico dello Stato. Solo in questo modo sarà assicurato l’effettività dei diritti e della libertà morale delle donne e di chiunque subisce violenza e molestie.

L’effettività della tutela sarà garantita in primo luogo se oltre a promuovere l’azione di denuncia diffondendo la conoscenza della nuova legge, chi denuncia potrà avere la certezza che dopo aver denunciato il reato non sarà solo ad affrontare le conseguenze, ma potrà contare su strutture (nello specifico centri antiviolenza) e sulle Istituzioni che lo proteggeranno e lo sosterranno nella “lotta” verso la libertà morale e personale.

In ultimo deve evidenziarsi che uno dei luoghi in cui spesso lo “stalking” si perpetra è il nucleo familiare nei confronti della moglie o della convivente, o comunque di soggetti psicologicamente ed economicamente deboli e non autosufficienti; persone cioè che devono tutelare la loro incolumità e soprattutto quella dei loro figli da condotte persecutorie poste in essere dai loro partner (o ex coniugi separati o divorziati). Nella maggior parte dei casi queste persone temono che denunciando il loro persecutore rimarranno senza casa e senza fonti di sostentamento per loro e per i propri figli e pertanto, desistono dall’esporre una denuncia. Per tale ragione, per anni molte donne hanno sopportato condotte vessatorie e molestie reiterate da parte dei loro familiari e del partner anche se legalmente separato o divorziato e molte donne ancora oggi sono “costrette” al silenzio per paura di affrontare da sole le conseguenze di una denuncia.

La nuova legge, brevemente esaminata in questo scritto, vuole essere una esortazione ad agire in difesa dei propri diritti riscattando la libertà morale delle donne edi chiunque si trova vittima di violenze e molestie.

Barbara Capicotto
Avvocato del Foro di Roma