Assegno di mantenimento: “Non versarlo è reato”

Assegno di mantenimento: “Non versarlo è reato”

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È reato non versare l’assegno di mantenimento a favore dei figli minori (Corte di Cassazione Penale sez.VI 2/2/2010 n. 4395)
Pubblicato in diritto famiglia il 04/03/2010
E’ obbligatorio versare l’assegno di mantenimento a favore dei figli minori anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro e con l’intervento degli altri parenti.
Cass. pen. n. 4395/2010 non ha esitato a ribadire la responsabilità e l’obbligo di versare la quota di mantenimento a favore dei figli minori anzi hanno puntualizzato che in essa “debbono ritenersi compresi non più solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione)”.

Pertanto , anche se il genitore affidatario provvede al mantenimento con ausilio d pecuniario dei familiari, non esime l’ex dal versare quanto stabilito con sentenza , pena violazione “art. 570 secondo comma n. 2 cp, in danno dei figli minori”.

L’obbligazione di mantenimento nei confronti dei figli, in particolare, trova già radici nell’ordinamento nazionale: l’art. 30 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce, infatti, che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. E’ un obbligo che sorge direttamente ed in istantanea dal rapporto di filiazione e gravante non solo sui genitori nel caso di figli nati nell’ambito del matrimonio, ma, allo stesso modo, nel caso di riconoscimento del figlio naturale.

La norma costituzionale in materia di mantenimento è ribadita dall’art. 147 del Codice Civile il quale esplicitamente prevede che “il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”, precisando, nel successivo articolo, che i coniugi devono adempiere l’obbligo in parola contribuendo in proporzione alle rispettive sostanze e capacità di lavoro professionale e casalingo.

Questo l’obbligo di mantenimento della prole non ha un carattere prettamente patrimoniale, esso è scevro sia dalla sussistenza della potestà genitoriale, sia dalla convivenza dei genitori con i figli. Nell’ambito della fondamentale disciplina costituzionale e codicistica si è inserita la giurisprudenza della Corte di Cassazione tracciare empiricamente le linee guida da adottare caso per caso mirate alla tutela dei figli, aggiornando la normativa all’evoluzione dei tempi e dei contesti sociali.

Corbi Mariagabriella

Dottoressa in Scienze dell’educazione

Consulente dell’educazione familiare

Mediatrice Familiare

 

Corte di Cassazione Penale sez.VI 2/2/2010 n. 4395

LA SEZIONE VI

Svolgimento del processo

Con sentenza resa dalla Corte di Appello di Roma il 17 aprile 2007, veniva ribadita la penale responsabilità di R. R. per il delitto di cui all’art. 570 secondo comma n. 2 cp, in danno dei figli minori F. e M. C. e confermato anche il trattamento sanzionatorio.

Ricorre il difensore nell’interesse dell’imputato e deduce – con il primo motivo – nullità della decisione per omessa notifica dell’avviso di comparizione in udienza successivo ad un suo legittimo impedimento; nel merito, si duole della illogicità e contraddittorietà della pronuncia, che non avrebbe tenuto conto delle emergenze dibattimentali e cioè che la madre svolgeva attività lavorativa regolare, così come il terzo figlio, maggiorenne, sicché il nucleo familiare non versava affatto in stato di indigenza; viceversa l’obbligato non aveva affatto la capacità economica, come risultava dalla documentazione fiscale in atti. Inoltre, la Corte non avrebbe motivato sulla istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e sul diniego delle generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato, giacché risulta che l’avviso di fissazione della udienza per il 17 aprile 2007, destinata alla trattazione dell’appello a seguito del rinvio della udienza in precedenza fissata, è stato regolarmente notificato a mano del R.. Costui, peraltro, non ha, come invece avrebbe dovuto, indicato gli eventuali specifici vizi della notifica, limitandosi ad una denuncia di mancato compimento dell’atto secondo il dettato normativo, che per la sua evidente genericità non soddisfa affatto il requisito previsto all’art. 581 lett. c 9 cpp in tema di impugnazione.

Parimenti manifestamente infondati sono i due successivi motivi di doglianza, che in quanto concernenti il difetto motivazionale della sentenza in relazione alla configurabilità del delitto contestatogli, possono essere esaminati congiuntamente.

Vale rammentare che ai fini della configurabilità del delitto cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio minore ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro e con l’intervento d’altri congiunti, atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo. (Sez. 6, Sentenza n. 38125 del 24/09/2008).

Ancora è principio pacifico che nella nozione penalistica di “mezzi di sussistenza” di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen. – diversa dalla più ampia nozione civilistica di “mantenimento” – debbono ritenersi compresi non più solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione).

Infine, incombe all’interessato l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, lo stato di impossibilità economica dell’obbligato (Sez. 6, Sentenza n. 2736 del 13/11/2008 Ud. (dep. 21/01/2009).

In relazione ai parametri normativi sopra enunciati, la pronuncia impugnata ha correttamente individuato la sussistenza degli elementi che rendevano penalmente rilevante la non contestata inadempienza del R. all’obbligo di provvedere alle esigenze di vita dei minori. La Corte, con motivazione esaustiva e coerente alle acquisizioni dibattimentali, ha infatti affermato che costui non versava in primo luogo in condizione di indigenza economica, risultando ex actis che era titolare di uno studio commerciale, formato anche da uno staff di cinque dipendenti; che fosse irrilevante che la donna svolgesse attività economica retribuita, stante la pochezza e la saltuarietà dei suoi guadagni di domestica; che l’inadempimento riguardava i due minori, privati del tutto dei mezzi di sostentamento e che non avesse alcuna incidenza esimente il fatto che i due figli maggiorenni lavorassero ed aiutassero la madre.

A fronte di tale iter motivazionale, diffuso e logico, il R. oppone una rivisitazione delle circostanze di fatto per ricostruire la vicenda in termini opposti a sé confacenti; il ricorrente impinge in un’evidente inammissibilità, non essendo consentito innanzi al giudice di legittimità ridiscutere le emergenze di fatto e propugnare diverse letture delle stesse, se non in presenza di quei vizi motivazionali sanzionati dall’art. 606 lett. e del cpp.

Detti vizi debbono tuttavia emergere “ictu oculi” dallo stesso testo della sentenza impugnata; una siffatta condizione per come sopra messo in evidenza, non ricorre nel caso in esame, avendo la Corte offerto una plausibile spiegazione delle azioni e dei comportamenti dell’imputato, che regge al vaglio critico.

Parimenti inammissibile è la censura con cui il R. si duole per la mancata rinnovazione della istruttoria dibattimentale.

L’“error in procedendo” rilevante ex art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., è configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa.

La valutazione in ordine alla decisività della prova, è rimessa al potere di merito del giudice, che deve esplicitare le ragioni (valide dal profilo logico e fattuale) che rendono legittimo il diniego.

Nella fattispecie in esame, con adeguata e valida motivazione, il giudice distrettuale ha escluso che la prova richiesta sulla attività lavorativa della moglie del ricorrente, fosse assolutamente indispensabile ai fini della decisione, richiamando, appunto, i principi in tema di inadeguatezza del contributo da costei offerto tramite il suo lavoro al mantenimento dei minori. Questo iter giustificativo della decisione soddisfa l’onere motivazionale e resta sottratto al controllo di legittimità.

Non è infine configurabile l’asserito vizio di motivazione per il diniego delle generiche e la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, poiché la Corte ha enunciato, in concreto, quali ragioni escludessero la fruibilità degli invocati benefici, rifacendosi sia alla protrazione della condotta omissiva del R. sia al reiterato precedente godimento della sospensione, che ne impediva ex legge una nuova applicazione.

Il ragionamento esposto non incorre nei segnalati vizi argomentativi e rispetta le regole tecniche dell’argomentare giuridico, con un esame completo di tutti gli elementi processualmente disponibili, i quali risultano correttamente interpretati con risposte esaustive alle deduzioni della parte.

Consegue, dunque, alla palese infondatezza dei motivi la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

In conseguenza della affermata inammissibilità, il Romei è da condannare al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende, somma determinata equitativamente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille a favore della Cassa delle Ammende.

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